domenica 13 aprile 2008

La costituzione d'oggetto e la formulazione d'immagine


-Nel ripercorrere l’opera teorica di Brandi, D’Angelo si sofferma sull’annosa questione del rapporto che intercorre tra l’immagine artistica e la realtà – una problematica accantonata da Croce e riproposta con forza negli scritti brandiani. È proprio nel tentativo di sciogliere questo nodo teorico, che Brandi ha tracciato le coordinate della sua “teoria della creazione artistica”, individuando le due fasi del processo artistico: la costituzione d’oggetto e la formulazione d’immagine. La prima locuzione indica la selezione che l’artista opera sull’immagine dell’oggetto per approdare ad un’immagine che «non è affatto un duplicato dell’oggetto, ma in cui l’oggetto è sostanza conoscitiva e figuratività» (pag. 56). In sintonia con l’epoché di Husserl, la “costituzione” di Brandi richiede all’artista lo sforzo di separare l’oggetto dalla realtà in cui esso è immerso, di mettere tra parentesi l’esistenza dell’oggetto, per determinare l’arte come realtà pura. Tale distinzione si definisce nella produzione brandiana successiva come dicotomia tra flagranza e astanza, laddove la seconda sta a indicare l’irriducibilità dello spazio dell’opera d’arte allo spazio esistenziale, il suo carattere sensibile e intransitivo. Solo in seguito a questo primo momento (“la costituzione”) si perviene alla fase successiva della creazione artistica, ossia la “formulazione d’immagine”, che vede l’opera farsi esterna e tradursi nel suo aspetto fisico-materiale. La rappresentazione è quindi caratterizzata dal rapporto tra un elemento di opacità e uno di trasparenza, o con il registro di Brandi tra differenza e presenza. Il che equivale a dire che l’opera d’arte, nel darsi nel mondo come oggetto concreto (come esistente), rivela la possibilità del suo darsi (la differenza), e denuncia così la sua irriducibilità al mondo stesso (il suo essere). Secondo Brandi sono proprio le due fasi della creazione artistica (costituzione d’oggetto e formulazione d’immagine) a costituire lo “stile”. Esso non si esaurisce in un semplice ricettario desumibile dai caratteri dell’opera formulata, ma accompagna l’intero processo formativo dell’opera. Nell’individualità dell’opera d’arte, nella sua forma, cogliamo qualcosa che non si lascia ridurre ad essa, e che tuttavia si radica proprio nei suoi elementi materiali. In questo senso lo stile ha a che fare con la dimensione dell’opacità che innerva di sé ogni forma-opera d’arte determinata.-
[il riferimento è : Paolo D'Angelo "Cesare Brandi - Critica d'arte e filosofia" ed. Quodlibet]

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